Uno degli appuntamenti emergenti più blasonati e promettenti.
Si svolge alle porte d’oriente e il suo nome è entrato ormai nell’immaginario collettivo. Da qui a varcare la soglia del mito non occorrerà poi molto, proprio come avvenne agli albori per il Camel Trophy o la Paris-Dakar (e perdonateci se scomodiamo mostri sacri del fuoristradismo d’avventura), viste le prerogative che, anno dopo anno, la Transanatolia Rally Raid è in grado di offrire ai suoi partecipanti. Sebbene gli equipaggi italiani stentino ancora ad accorrere a queste latitudini, quantomeno quelli su quattro ruote, ad eccezione di una ristretta rappresentanza che, in varie edizioni, ha comunque lasciato la sua indelebile impronta, inclusa nell’ultima edizione, disputata in Turchia a fine agosto.
Nonostante ben diversa sia la questione per quanto riguarda i centauri, nei quali la rappresentanza tricolore su due ruote è da sempre ben nutrita ed agguerrita, con piloti di assoluta eccellenza a disputarsi una classifica serrata e combattuta sul filo dei secondi, per tutti i sette giorni di competizione, alla Transanatolia 2015 a difendere l’italico onore del 4x4 si sono presentati Vito Rampino e Federigo Guglielmi, sulla Toyota KDJ 125 in categoria Raid, assieme a un autentico veterano delle gare 4x4, il celebre Marino Mutti, navigato da Andrea Mazzoleni, sull’inarrestabile Mercedes Unimog, con il quale hanno testato la percorribilità dell’inedito percorso anche per i possenti (e ingombranti) veicoli della categoria Truck.
Il teatro di quest’inedita edizione, quasi completamente tracciata ex novo e disegnata sulle note del road book grazie all’esperta matita di Giulio Fantoni, ha offerto uno scenario biblico, tra ripide alture, villaggi sperduti, lussureggianti pianure e aride montagne dell’Anatolia orientale, quegli stessi paesaggi che secondo le antiche scritture avrebbe incontrato Noè dopo il diluvio universale, per dare inizio alla storia della seconda umanità. Panorami da sempre protagonisti delle vicende terrene, dalle più remote fin alla storia recente, apparentemente immobili e perturbate solo dal passaggio della Transanatolia (www.transanatolia.com ), con il suo circus composto da moto, quad, auto e camion.
Benché la classe regina di questo rally internazionale sia ancora quella dominata dai piloti a due ruote, in grande spolvero grazie alla presenza di campioni europei del calibro di Gerard Farres (primo sulla Ktm), Helder Rodriguez (secondo su Yamaha) e Alessandro Botturi (terzo su Yamaha e detentore del titolo dello scorso anno), seguiti da Paolo Ceci, Olivier Pain e l’amazzone Laila Sanz - tutti in fase preparatoria per la disputa della prossima Dakar sudamericana -, il quad Polaris RZR 1000 dell’equipaggio bulgaro Tsanko Tsankov e Zomitsa Todorova assieme al Mercedes Unimog di Marino Mutti, hanno convalidato la qualità del tracciato ai due estremi della categoria 4x4, strappando entrambi tempi analoghi a quelli dei più agguerriti volanti in lizza per la vittoria.
Due le classi ammesse per le auto, Rally, con classifica a tempo, e Raid, versione edulcorata dai tempi di gara e aperta a tutti coloro che al cronometro preferiscano cimentarsi nella navigazione, senza l’assillo dei secondi che scorrono. Una doppia formula che ha visto un manipolo di veicoli turchi fronteggiarsi sugli impegnativi tracciati anatolici, espugnati alla fine per primi da due vecchie conoscenze della Transanatolia, l’equipaggio Suat Inan ed Ejder Eristi, protagonisti della gara negli ultimi tre anni e finalmente sul gradino più alto del podio con la loro Mitsubishi Pajero. Secondi Mert Becce navigato da Turgut Baris, su Suzuki Jimny, un veicolo che malgrado le sue ridotte dimensioni ha saputo reggere la fatica lungo tutti i 3.000 chilometri di percorso. Terzi Murat Karahan e Sener Efe su Isuzu V Cross, mentre Ahmet Tinkir e Ali Gunpay su Jeep Wrangler Tj, vincitori della scorsa edizione, si sono dovuti accontentare di un quarto onorevole piazzamento.
E gli italiani? Il ruolo di difensori del tricolore su quattro ruote è spettato, proprio come alla Transanatolia del 2014, ai pesaresi Vito Rampino e Federigo Guglielmi, che con la loro Land Cruiser iscritta in categoria Raid hanno combattuto fino all’ultimo, rimediando purtroppo solo un ottavo posto (dopo il brillante secondo piazzamento dello scorso anno), lottando quotidianamente più con noie alla strumentazione che coi rebus di navigazione (non poco per una gara improntata sui waypoints).
Gara a parte per l’iconico Marino Mutti, un ragazzo di 66 anni con qualcosa come diciotto Dakar alle spalle (e non solo), che affiancato dal nipote Andrea Mazzoleni, con il suo mastodontico Mercedes Unimog Racing targato Bergamo, ha ancora una volta tenuto testa alla maggior parte delle quattro ruote “leggere” che, almeno alla partenza della mattina, lo precedevano. (Classifica Transanatolia 2015)
Cosa ci riserverà la Transanatolia per il futuro? “La nostra intenzione è sviluppare sempre di più questo appuntamento…” illustra Burak Büyükpinar, patron della manifestazione, “… esplorando tracciati sempre inediti che diano ai concorrenti la possibilità di scoprire ogni anno un volto nuovo. Per l’edizione 2016 stiamo già lavorando a una revisione del percorso, che dopo la turistica Antalya e la capitale Ankara, città di partenza nelle scorse edizioni, possa prendere il via magari dalla millenaria Istambul. Di pari passo l’omologazione nel calendario della Federazione Motociclistica Internazionale, la partecipazione dei più grandi motociclisti del panorama rallystico e la spinta verso il riconoscimento anche dalla Federazione Internazionale dell’Automobile ci stanno proiettando anno dopo anno verso un’identificazione sempre maggiore ed estremamente personalizzata, da parte dei piloti come del grande pubblico”.
Resta ancora da risolvere il mistero della scarsa partecipazione degli equipaggi dello Stivale sulle quattro ruote. “La nota dolente per noi italiani…” ci spiega Fiorenzo Lo Giusto, agente esclusivo di Transanatolia per l’Italia e mente operativa di Evasioni che organizza la logistica dall’Europa (www.evasioni.org), “… è senza dubbio il costo del trasporto, un fattore che stiamo cercando di ottimizzare e che sarebbe considerevolmente ammortizzato a partire già da 4 o 5 iscritti in più, un’affluenza che speriamo di ottenere per l’anno prossimo grazie sia alla maggiore notorietà che sta riscuotendo questo appuntamento, sia per l’emorragia di concorrenti che stanno progressivamente abbandonando le gare africane, ormai sulla via del tramonto”.
Testo e foto di Duilio Damiani